Il Metodo Melocchi è raccontato approfonditamente nell’interessante libro Non si canta con le corde vocali. Da Melocchi a Kraus, tecniche vocali e altre divagazioni di Eddy Loviglio, da cui estraiamo alcuni brani della lunga testimonianza resa da Giovanni Ribichesu, con cui il tenore descrive l’approccio al Metodo Melocchi
Giovanni aveva iniziato a studiare pianoforte in modo disordinato, battendo sui tasti del pianoforte al ristorante Il Luculliano. “Quando tutti lasciavano libero il locale, mi avvicinavo alla tastiera del pianoforte – afferma – e inventavo degli accordi studiando così da autodidatta anche se mi piaceva il rock ed il mio mito era Elvis Presley e l’America degli anni ’50”. Giovanni infatti colleziona automobili d’epoca, possiede due Cadillac e due Buick con le quali partecipa a raduni e concorsi in tutta Italia.
Per raggiungere questi ottimi risultati come pianista concertista il giovane Giovanni aveva studiato dalle sette alle otto ore al giorno sotto la guida della professoressa Maria Golia ed ha avuto la soddisfazione, così in giovane età, di accompagnare cantanti come Cappuccilli e Martinucci.
Ben presto viene invitato ad esibirsi in prestigiose stagioni concertistiche a Parigi, Stresa, Salisburgo, Montecarlo alla presenza del principe Ranieri, e perfino a Miami dove, considerata la bella presenza, gli avevano anche affidato un ruolo in un film con Burt Reynolds e Richard Dreyfus. Giovanni sembra voler superare i nonni e i genitori confrontandosi con più attività artistiche, non ultima il canto. Sì. Noncurante dei consigli del padre, a Giovanni star seduto davanti alla tastiera del pianoforte non basta più.
Dotato di classe, talento ed un forte temperamento, a 26 anni, dopo un concerto tenuto a Sofia in Bulgaria, “tra i consensi della critica, gli incessanti applausi, e gli immancabili bis” (quotidiano “Torino Sera” del 4 novembre 2000 che titolava l’articolo: “Un tenore che affascina”), finito il recital Giovanni, accompagnandosi al pianoforte, si mette a cantare “O sole mio”, una delle romanze più conosciute e apprezzate all’estero, e il teatro scoppia in applausi, ovazioni e richieste di autografi. Si direbbe: è nata una stella.
L’astro nascente del canto ci riprova, qualche giorno dopo a Bolzano, e questa volta con la voce tenorile e alla presenza di Cecilia Gasdia, Giangiacomo Guelfi, Pier Miranda Ferraro e altri famosi cantanti lirici che ne avevano apprezzato le doti canore e previsto per lui un luminoso futuro.
L’aspetto fisico del giovane Ribichesu ricordava i protagonisti dei film di cappa e spada, un genere molto vicino ai ruoli che richiede il melodramma lirico. E dall’aspetto fisico alla voce il passo è breve.
Giovanni Ribichesu inizia così a studiare canto e abbandona la carriera di pianista concertista, dando un calcio a quella che si preannunciava una brillante e luminosa carriera per inseguire un sogno, lo stesso di suo padre. Anch’egli rimane affascinato e sopraffatto da questo grande e affascinante mistero che è la “voce”.
La sua storia, la storia della sua famiglia, questa loro ferma convinzione nella tecnica di canto di Arturo Melocchi mi ha portato a voler approfondire l’argomento.
Arturo Melocchi era senza dubbio un “sarto” d’eccezione, che sapeva valutare la qualità della “stoffa” e non si apprestava a “tagliare” l’abito se non era convinto di quel che aveva fra le mani. Questo ha contribuito a fargli ottenere una grande stima fra tutti i suoi allievi, oltre alla tecnica impartita, frutto dei suoi studi, delle sue conoscenze e competenze, non dimenticando che l’alchimia che passa tra maestro e allievo è qualcosa di impalpabile ma di indispensabile.
L’espressione acustica del canto viene percepita diversamente dal maestro, che la sente attraverso il suo apparato uditivo, e dall’allievo che canta, che la sente attraverso il suo orecchio interno.
Anche le sensazioni propriocettive che si hanno cantando sono ingannevoli ed estremamente soggettive, e quando il maestro le suggerisce all’allievo per facilitargli la comprensione di ciò che sta spiegando in realtà indica ciò che lui percepisce, che non è detto che corrisponda a quello che percepirà l’allievo. E tutto questo non sempre permette di risolvere il problema.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studenti di canto che su internet citano il “metodo Melocchi” come una panacea, un’eccellente soluzione per risolvere le loro difficoltà di voce. E, come accadeva ai tempi di Melocchi, molti altri intervengono per mettere in guardia i primi rispetto ai rischi che correrebbero le corde vocali con l’applicazione di tale metodo. Ciò è dovuto soprattutto al “fai da te”, alla sperimentazione di metodi e tecniche delle quali si è sentito parlare ma di cui non si conoscono bene le fondamenta e i dettagli.
Oggi parlare del “metodo Melocchi” è diventata una moda, un “mito”, ma quasi sempre lo si fa con poche conoscenze e con informazioni di terza mano. Proprio per questo è meglio fare chiarezza e approfondire l’argomento, capire in che cosa consiste la tecnica vocale insegnata dal M° Melocchi, analizzare quali obiettivi, vantaggi e svantaggi, può portare a chi la utilizza, valutare la sua attualità nel contesto delle conoscenze fisiologiche e tecniche odierne.
Nel 1970 Arturo Melocchi morì ed erede del suo metodo dell’affondo fu Marcello Del Monaco, voce baritonale e suo allievo, come pure Mario Del Monaco che invece preferì la carriera artistica diventando uno dei più grandi tenori di tutti i tempi. Marcello non voleva dedicarsi all’insegnamento ma fu Gastone Limarilli ad imporglielo, un tenore dal colore della voce meraviglioso che, a lezione, era forzato per via di quei vocalizzi ma quando apriva nel canto era una voce bella, alta, aerea.
Ogni mese Rolando Ribichesu andava a Treviso a seguire le sue lezioni e al solo sentire Cecchele cantare per tre ore di fila, che già era un grande nel mondo della lirica, era per lui una delizia per le orecchie. Cantava tutta un’opera intera con il metodo di affondo.
L’ambiente traspirava di gioia, non c’era competizione, c’era amicizia e si cantava tutto il giorno. E poi… quando entrava Mario Del Monaco per tutti era una grande festa.
Rolando rimase colpito soprattutto dall’umanità della persona, oltre che dal maestro di canto, dalla modestia e dalla sincerità di Marcello Del Monaco. Una cosa importante era, infatti, la lealtà del maestro. Un giorno capitò a lezione un allievo che se n’era andato qualche tempo prima; pur sapendo che era andato a studiare da altri, il maestro quando lo sentì gli fece i complimenti “fai i complimenti al tuo maestro”. Questo era Marcello Del Monaco. Oppure quando si presentava un cantante e vedeva che in audizione non c’era nulla da fare esordiva sempre con questa frase: “Io so che ora mi farò un altro nemico, ma scusi se glielo dico: lei non è nato per cantare, lei perde solo tempo e se ha un lavoro non lo lasci. Non dò lezioni a qualcuno che non diventerà mai nessuno”. Non illudeva gli allievi, poteva intuire in una voce grezza o messa male che avrebbe potuto creare un gigante, e allora ci lavorava sopra; da lui soprattutto andavano cantanti che non erano a posto con la voce e grazie a lui sono diventati fenomeni, ad esempio Nicola Martinucci e Giuseppe Giacomini, così come intuiva quando per una voce non c’era nulla da fare.
Silvano Carroli un giorno steccò a lezione un Mi Bemolle e Marcello Del Monaco diede un pugno sul pianoforte. Carroli divenne poi un baritono eccezionale che in carriera faceva anche il Mi bemolle.
Le lezioni erano di gruppo in modo che gli allievi potessero assistere per giornate intere alle lezioni di tutti, poiché si impara molto anche ascoltando gli altri o gli errori degli altri allievi.
NON SI CANTA CON LE CORDE VOCALI
Da Melocchi a Kraus, tecniche vocali e altre divagazioni
di Eddy Lovaglio
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